Riciclare vecchi computer

Alcuni si sono chiesti se è possibile utilizzare vecchi computer come postazioni per SBN, dopo aver sostituito Windows con Linux. Per vecchi computer qui non si intendono computer da museo, come Commodore 64, Amiga o Olivetti M24, e neppure computer degli anni ’90, ma si intende una fascia di computer si estende a quelli che hanno 10-15 anni e forse anche un po’ di più, specialmente se erano ben dotati per l’epoca.

La risposta è molto semplice: non solo è possibile, ma anche consigliabile, perché alla convenienza economica (si evita l’acquisto di computer nuovi, non si hanno costi di licenza) si abbina un ottimo livello di funzionalità e sicurezza.

Non c’è alcun problema di compatibilità con SbnWeb che funziona esclusivamente col browser senza nessun componente da installare in locale, quindi l’unico requisito è avere un browser aggiornato e compatibile (Firefox è quello supportato ufficialmente, ma in pratica finora gli unici browser incompatibili che abbiamo trovato sono le vecchie versioni di Internet Explorer).

Anche il sistema operativo però dev’essere aggiornato, altrimenti si corrono rischi sia come sicurezza che come compatibilità coi software recenti. Non bisogna quindi usare vecchie versioni di Linux, ma scegliere una distribuzione Linux “leggera”, cioè dotata di software aggiornato ma ottimizzata per funzionare bene anche con risorse hardware limitate.

La scelta è molto vasta (consultare il sito Distrowatch) , qui riporto solo alcuni esempi. Non indico i link perché sono facilissimi da trovare:

  • Xubuntu: versione della Ubuntu con il desktop leggero Xfce; va bene coi computer superati ma non proprio obsoleti, ed è ottima anche per quelli nuovi; vi si può installare tutto il software della Ubuntu e anche altri desktop (sia più leggeri che più pesanti);
  • Lubuntu, LXLE, AntiX sono adatte a PC ancora più limitati (e come si può immaginare sono velocissime su quelli più potenti)
  • Puppy Linux è ancora più minimale; ha una bella grafica ma un po’ diversa da quella usuale; permette di recuperare hardware particolarmente obsoleto

Esisteva anche una distribuzione chiamata Damn Small Linux con requisiti ancora più bassi della Puppy, ma non è più stata sviluppata dal 2008: è ancora disponibile, ma non bisogna usarla perché il mancato aggiornamento la rende insicura e probabilmente anche incompatibile con una parte del software attuale.

Naturalmente Linux va benissimo anche sui computer nuovi e non solo su quelli vecchi. In questo caso si ha maggiore scelta e si possono usare le distribuzioni più comuni come Ubuntu, Debian, Suse e desktop più pesanti come Gnome, Mate, Cinnamon e KDE (anche se Xfce rimane sempre una opzione interessante).

Copia digitale di esemplare non posseduto

Nel giugno 2020 l’ICCU ha mandato ai poli una lettera che informa della possibilità di inserire in descrizione il link ad una copia digitale di una pubblicazione posseduta, anche se derivante da un esemplare non posseduto dalla biblioteca.

La possibilità si applica solo alle edizione successive al 1830.

Deve trattarsi della stessa edizione, non basta che sia la stessa opera, e naturalmente non deve trattarsi di una pubblicazione autonoma, che andrebbe descritta come tale, ma solo di un libro digitalizzato.

Finora questo non era possibile perché si poteva inserire il link o all’indirizzo di una pubblicazione nativa digitale, o alla versione digitale della copia posseduta dalla biblioteca.

Per tutti i dettagli rimando al testo della lettera: https://deposito.regione.liguria.it/access/D5HNz9FoNEHCmtrRFMpK8ijyLD1m (indico questo link perché la lettera non sembra presente sul sito ICCU e la previsione non è ancora stata integrata nella Guida alla catalogazione).

Secondo me si tratta di una innovazione più importante di quello che può sembrare a prima vista, perché è un piccolo passo avanti verso l’integrazione in SBN di informazioni provenienti da fonti esterne.

SbnWeb come app desktop (o scorciatoia)

Un’accorta utente del nostro Polo mi ha fatto notare che con alcuni browser è possibile usare Sbnweb (e qualunque altro sito o applicativo web, non è che sia una cosa fatta apposta per noi) come se fosse un programma a se stante, con una sua icona, una sua finestra che non permette l’accesso ad altri indirizzi web, e che può essere messa nella barra delle applicazioni di Windows, sul desktop o dove si vuole, analogamente all’icona di un programma.

E’ una cosa che alcuni possono trovare comoda, chi non l’ha mai fatto può provare anche solo per curiosità.

Come si può immaginare, non viene creato un programma apposito, si tratta solo di una modalità di uso di una finestra del browser, che può essere eliminata quando si vuole (beninteso senza alcun effetto sulla possibilità di accedere normalmente al Polo usando il browser di base).

Visto che si parla dei browser, ricordo in via preliminare che l’unico ufficialmente supportato da SbnWeb rimane Firefox, ma nella pratica finora si è sempre riscontrato che funziona benissimo con tutti i browser con cui è stato provato tranne le vecchie versioni di Internet Explorer, non ricordo se fino alla 7 o alla 8, che sono comunque programmi obsoleti che non andrebbero usati.

Tornando all’argomento, ecco come si attiva la modalità di cui parliamo. Con Chrome (funziona anche con Chromium per Linux) bisogna cliccare sull’icona con tre puntini nell’angolo in alto a destra, scegliere Altri strumenti e poi Crea scorciatoia. Nella finestra di dialogo che si apre selezionare la casella Apri come finestra.

Più o meno la stessa cosa si può fare con Microsoft Edge, il che non stupisce perché questo browser è attualmente basato su Chrome. Invece di “scorciatoia” viene usato il termine alla moda “app” e l’attivazione è un poco più semplice: dal menu coi tre puntini in alto a destra selezionare App e poi Installa il sito come un app. Questo è possibile con le versioni recenti di Edge, non con quelle precedenti che non erano basate su Chrome.

Altri due noti browser basati su Chrome, cioè Opera e Vivaldi, non offrono invece questa funzionalità.

In Firefox una funzionalità simile deve essere abilitata tramite la configurazione avanzata (parametro browser.ssb.enabled impostato a true) o ottenuta tramite estensioni.

Come compilare un file con una lista di inventari

Come sappiamo, in alcune procedure di SbnWeb, ad esempio lo scarico inventariale, è possibile utilizzare un file per caricare la lista degli inventari da trattare.

Non è però immediatamente chiaro come debba essere compilato questo elenco.

Innanzitutto deve trattarsi di un file di solo testo, non di un foglio elettronico in formato Excel o altri, o di un file di Word o simile. Questi file si trattano con programmi come Notepad, fornito con Windows, o altri editor più sofisticati come Notepad++ (https://notepad-plus-plus.org/).

Si deve inserire un numero di inventario per ogni riga.

Il manuale sulle elaborazioni differite (https://www.iccu.sbn.it/export/sites/iccu/documenti/2018/SBNWEB_Elab-diff_-vers_1_1.pdf) a pagina 5 riporta una tabella con i formati dei numeri di inventario accettati.

Tuttavia dopo la redazione del manuale, che è del 2013, il programma è stato migliorato perché, come abbiamo sperimentato in questi giorni, non è più necessario aggiungere a sinistra del numero degli zeri per portare la lunghezza a nove caratteri.

Ad esempio, secondo il manuale il numero di inventario 53215 andrebbe scritto 000053215, mentre ora questo non è indispensabile.

I primi tra caratteri della riga vengono interpretati come serie inventariale. Qui è bene ricordare che quando sembra che manchi la serie inventariale e ci sia solo il numero, in realtà è stata creata una serie inventariale con il nome costituito da tre spazi, che per il programma è un nome come gli  altri. All’inizio di ogni riga quindi dovranno essere inseriti tre spazi. Se il nome della serie è di uno o due caratteri, dovranno essere inseriti gli spazi necessari per arrivare a tre.

Il numero deve essere inserito senza il separatore delle migliaia (45678 non 45.678).

Esempi:

  • 53225  (inventario 53225 della serie “senza nome”)
  • A  456 (inventario 456 della serie A)
  • A456 (senza spazi viene interpretato come inventario 6 della serie A45)
  • BK 2345 (inventario 2345 della serie BK)
  • GH75567 (inventario 5567 della serie GH7).

Non devono essere inseriti altri caratteri, come apici, virgole ecc.

Dopo l’elaborazione vengono prodotti un report (facilmente leggibile) e un log (meno decifrabile ma a volte utile per diagnosticare problemi tecnici) che è bene consultare per verificare che il risultato sia quello atteso, ad esempio che non ci siano degli inventari non trovati. La presenza di inventari non trovati comunque non impedisce l’elaborazione degli altri.

Documento dell’ICCU sul trattamento dei nomi

L’ICCU ha pubblicato un interessante documento di FAQ sul trattamento dei nomi in SBN:

https://www.iccu.sbn.it/it/eventi-novita/novita/Nomi-in-SBN/

https://www.iccu.sbn.it/export/sites/iccu/documenti/2021/FAQ-Authority-Nomi_SBN_DEF.pdf (link diretto al documento)

L’oggetto immediato del documento è il trattamento mediante Interfaccia diretta per la manutenzione dell’indice, e in particolare per la produzione di record di autorità (attività per la quale l’ICCU nel 2020 ha costituito un gruppo di lavoro composto da suo personale e da bibliotecari di numerosi poli), ma diverse indicazioni su particolari caratteristiche del trattamento dei nomi possono servire a tutti perché i criteri da seguire sono gli stessi per tutti, indipendentemente dal fatto che si creino o no record di autorità.

Per nomi si intendono i nomi di tutte le persone o enti che sono collegate, a qualsiasi titolo, ad una notizia bibliografica relativa ad un’opera, espressione o manifestazione, quindi non solo gli autori in senso stretto ma chiunque vi abbia avuto un ruolo, naturalmente nei casi previsti dalle regole, ad esempio traduttori, prefatori, illustratori, registi, sceneggiatori, esecutori di musica ecc.

L’Interfaccia diretta è un programma sviluppato dall’ICCU che permette agli utenti autorizzati di lavorare direttamente sull’indice in modo indipendente dai poli e viene usato principalmente per attività di correzione e integrazione dei dati esistenti, anche perché ad usarlo solo per la ricerca non ci sarebbe particolare vantaggio e non sarebbe possibile usarlo per le normali attività perché è svincolato dalle singole biblioteche e, lavorando solo sull’indice, non prevede la gestione del posseduto. Per questo gli utenti che lo utilizzano hanno di solito un livello di autorità molto alto.

I BID dei titoli e autori creati con l’interfaccia diretta hanno come codice di polo “SBN”, che non è il codice di alcun polo reale, ma viene usato appunto per queste particolari creazioni. Questi titoli e autori poi possono essere normalmente catturati e utilizzati dai poli. Ad esempio, nel nostro polo abbiamo 2.551 titoli e 15.112 autori di questa origine.

Le ristampe nella nuova Guida SBN

Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che nella nuova guida SBN c’è un capitolo sul trattamento delle ristampe:

https://norme.iccu.sbn.it/index.php?title=Guida_moderno/Descrizione/Risorse_monografiche/Area_dell%27edizione/Ristampe

più chiaro e meglio organizzato di quello della Guida del 1995.

Naturalmente il principio è sempre che le ristampe inalterate non sono oggetto di descrizione distinta, ma viene meglio esaminata la casistica derivante dal fatto che gli editori amano presentare come edizioni quelle che sono in realtà ristampe e questo continua a causare confusione.

Nella nuova guida ci sono alcune differenze di rilievo nelle variazioni che da sole non richiedono una nuova descrizione:

NUOVA GUIDA

    la data;

    il numero standard;

    le dimensioni, se la variazione non supera 2 cm

    la forma del nome dell’editore (p.es. A. Mondadori e Oscar Mondadori);

    il luogo di edizione, se l’editore è lo stesso.

GUIDA 1995

   una differenza nella data di stampa o di copyright

   un  cambiamento  minore del nome dell’editore

   l’aggiunta, la cancellazione o il  cambio  dell’ISBN

Per il resto invito a leggere direttamente il testo, è inutile fare qui il riassunto. Mi sembra utile osservare però che se ci sono ristampe qualificate come edizioni, succede anche il contrario (molto più raramente), cioè che nuove edizioni siano qualificate come ristampe,  con formulazioni come “ristampa aggiornata”, “ristampa con l’aggiunta di…” o simili. Ovviamente in questi casi bisogna creare una nuova notizia, eventualmente fornendo chiarimenti in nota per far capire che si tratta di una nuova edizione. La falsa indicazione di ristampa andrà riportata in area 2, essendo in realtà una formulazione di edizione.

Bisogna dire comunque che se la causa principale della confusione sono gli editori, a volte anche i catalogatori contribuiscono in proprio creando nuove descrizioni quando sarebbe abbastanza facile capire che non sono necessarie, oppure addirittura duplicando ulteriormente queste notizie o creando descrizioni che non è chiaro a quale edizione/ristampa si riferiscono.

Infine una considerazione d’insieme: i duplicati danno molto fastidio, però si vedono, quindi non determinano la perdita di informazione. Invece se due edizioni diverse vengono prese per la stessa edizione, una delle due scompare completamente e l’utente non ha alcun mezzo per accorgersi della cosa, per cui il danno è maggiore. Di conseguenza, nel caso in cui ci sia un reale dubbio di avere davanti una vera edizione e non una ristampa è meglio creare una nuova notizia anche rischiando di creare un duplicato.

Libri digitali e libri digitalizzati

Periodicamente ricompare il dubbio se un libro in formato digitale, di cui esista un’edizione cartacea, possa essere catalogato utilizzando il BID dell’edizione cartacea e inserendo nelle informazioni di inventario che la copia che si possiede è digitale.

Proviamo a chiarire la questione.

Il procedimento indicato sopra si usa per trattare la copia digitalizzata di un libro che si possiede, perché la copia non si considera una pubblicazione autonoma, e infatti nella gestione inventariale c’è una funzionalità apposita.

Quando invece di un libro viene pubblicata sia la versione su carta che quella elettronica, è un’edizione distinta, spesso con un proprio ISBN che quindi va descritta separatamente. Ovviamente a maggior ragione la stessa cosa vale se esiste solo l’edizione elettronica. Inutile dire poi che se è stata catalogata solo l’edizione elettronica ma si possiede quella su carta bisogna creare una notizia per quest’ultima.

Ora non ci mettiamo ad esaminare tutte le possibili forme che un documento elettronico può assumere, ma ci limitiamo al caso dell’ebook.

Prima però un avviso precauzionale: forse a leggere tutte queste indicazioni una dietro l’altra la cosa può sembrare complicata, ma chi non l’ha mai fatto provi (tenendo sott’occhio le norme pertinenti) e vedrà che non è niente di speciale.

Un ebook probabilmente riporta i dati dell’area 1 e dell’area 4 quindi non ci sono particolari difficoltà, come anche col numero standard e i legami (un autore o un traduttore sono la stessa cosa in un libro cartaceo e in uno digitale).

Le differenze invece si trovano:

  • nei codici di Forma contenuto, Tipo contenuto, Sensorialità ecc, (corrispondenti all’area 0 ISBD) in cui è facile scegliere dal menu le voci appropriate
  • nell’area 5
  • nelle note.

Per la descrizione fisica (area 5, che non è da confondere con la famosa Area 51) vedere in particolare: REICAT 4.5.1.5 (https://norme.iccu.sbn.it/index.php?title=Reicat/Parte_I/Capitolo_4/4.5/4.5.1) e Guida SBN M5A ed M5B (https://norme.iccu.sbn.it/index.php?title=Guida_moderno/Descrizione/Risorse_monografiche/Area_della_descrizione_materiale). In questi capitoli è facile individuare ciò che è applicabile ad un ebook.

Lo schema dei dati inserire è questo:

1 testo elettronico ([qui indicare il formato, ad esempio PDF, ePub]) ([qui indicare le pagine se applicabili o le dimensioni del file])

Esempi:

1 testo elettronico (PDF) (235 p.)

1 testo elettronico (ePub) (847 KB) [negli epub l’impaginazione è dinamica quindi non si può indicare il numero di pagine]

1 testo elettronico (OpenDocument) (45 slide) [questo esempio si riferisce ad un documento contenente slide in formato Open Document]

Secondo me per gli ebook, che tendono a riprodurre l’aspetto di un libro tradizionale, potrebbe anche andare bene l’espressione “libro elettronico”, ma poiché REICAT e Guida SBN usano l’espressione “testo elettronico” mi sembra inutile introdurre delle varianti.

Per quanto riguarda le note, possono essere applicabili tutte quelle di impiego generale (per esempio sull’area del titolo o qualunque nota che serva a chiarire meglio natura e carattere del documento), ma quelle specifiche sono indicate in REICAT 4-7-5-1 (https://norme.iccu.sbn.it/index.php?title=Reicat/Parte_I/Capitolo_4/4.7/4.7.5).

IMPORTANTE: in SBN ci sono informazioni da trascrivere in campi specifici (https://norme.iccu.sbn.it/index.php?title=Guida_moderno/Descrizione/Risorse_monografiche/Area_delle_note/Note_da_trascrivere_in_campi_specifici) che sono la nota sul tipo di risorsa elettronica (M7B.4) e la nota sui requisiti del sistema (M7B.5), naturalmente se si hanno le relative informazioni.

Tra i requisiti del sistema va anche indicato l’eventuale DRM sugli ebook. Poiché è un’informazione molto importante per l’uso del documento, a mio parere sarebbe bene indicare espressamente anche se il libro è privo di DRM.

Formulazioni ricorrenti riferite a personaggi o altri elementi di opere letterarie

Avviene in casi abbastanza frequenti soprattutto nella letteratura per ragazzi, ma non solo, che un insieme di monografie presenti, nella posizione di un titolo, il nome del protagonista (ad esempio Isadora Moon) o anche di un luogo o di altri elementi centrali nelle opere contenute (ad esempio “Le leggende della terra zyx”, “Il regno dei maghi” ecc. ecc.).

Queste formulazioni creano difficoltà di trattamento perché:

  1. sono in grande evidenza, quindi non si possono ignorare
  2. ricorrono regolarmente
  3. sono importanti per la ricerca, quindi non basta citarle in nota
  4. non sono grammaticalmente legate al titolo specifico, per cui non danno luogo ad un titolo unico
  5. difficilmente si possono interpretare come collane (manca la numerazione, la presentazione non è quella tipica delle collane)
  6. non indicano un’opera unitaria pubblicata in più unità fisiche con titolo significativo, perché ogni pubblicazione contiene un’opera autonoma, anche se collegata alle altre.

Spesso vengono trattate riportando l’elemento comune come titolo proprio e quello specifico come complemento del titolo, ma probabilmente la soluzione più precisa e corretta – anche se poco utilizzata – è quella di ricorrere a titolo comune e titolo dipendente, come si vede in questo esempio (http://id.sbn.it/bid/LO11699922)

Isadora Moon. Gita scolastica / Harriet Muncaster ; traduzione dall’inglese: Maria Roberta Cattano. – Milano : De Agostini, 2018. – 116 p. : ill. ; 20 cm. – [ISBN] 978-88-511-5331-1.

Il riferimento alle regole è Reicat 4.1.1.3, dove il caso che ci interessa è quello del “titolo comune a più pubblicazioni connesse”. Tra gli esempi, ce n’è uno che si riferisce particolarmente a questo caso, quello di “Elementare papero”.

C’è comunque anche una certa difficoltà delle regole a trattare adeguatamente la situazione, se bisogna ricorrere ad una soluzione che si applica a molti casi piuttosto eterogenei. Io penso che la difficoltà derivi dal fatto che formulazioni di questo genere da una parte si presentano come puramente descrittive, dall’altra sono invece una informazione sul contenuto (come dire: “guarda che questo libro ha come protagonista Isadora Moon”).

Usare l’uno o l’altro tipo di descrizione ha poco effetto per le ricerche comuni, perché la gente non si pone questi problemi, cerca Isadora Moon insieme a qualche altra parola (ad esempio “isadora moon gita”) e trova il libro mentre la differenza può essere rilevante per elaborazioni automatiche (LOD, fusione di cataloghi).

Resta il problema del titolo dell’opera (titolo uniforme). Nell’esempio di Isadora Moon non c’è difficoltà perché il titolo in lingua originale è composto da un’unica espressione (in questo caso particolare è  Isadora Moon goes on a school trip), ma ovviamente questo è solo un caso fortunato. Le regole sul titolo dipendente nel titolo sono più restrittive di quelle che ci sono per la descrizione, quindi mi pare che si debba applicare Reicat 9.1.4.4: si assegna il titolo specifico, con rinvio dalla forma composta.

Titoli delle opere contenute in una raccolta

Alcuni bibliotecari si sono giustamente chiesti in che modo rendere ricercabile il titolo della singola opera contenuta in una raccolta con titolo d’insieme.

Per rispondere, facciamo innanzitutto un ripasso di terminologia: il titolo riportato sulla pubblicazione si chiama titolo d’insieme, mentre titolo di raggruppamento è una vecchia denominazione, che non andrebbe più usata, per quello che adesso si chiama titolo uniforme ed ha la funzione di identificare un’opera (mentre la precedente denominazione faceva piuttosto riferimento al raggruppamento delle schede nel catalogo cartaceo).

Le raccolte di opere preesistenti con titolo d’insieme si differenziano perché alcune presentano sul frontespizio l’elenco delle opere contenute, mentre altre non lo hanno.

Nel secondo caso è evidente che l’elenco delle opere non si può mettere nell’area del titolo ma solo nella nota di contenuto, il primo è disciplinato dal paragrafo 4.1.1.4 delle Reicat (http://norme.iccu.sbn.it/index.php?title=Reicat/Parte_I/Capitolo_4/4.1/4.1.1#4.1.1.4 – c’è anche il paragrafo M1A.4 della bozza della nuova guida SBN che dice sostanzialmente la stessa cosa):

Se la pubblicazione contiene più opere o parti di opere preesistenti (degli stessi autori o di autori diversi o anonime) e la fonte primaria reca sia un titolo d’insieme sia i titoli delle opere contenute (o di alcune di esse) si riporta di norma solo il titolo d’insieme. I titoli delle opere contenute si riportano o segnalano in una nota di contenuto (par. 4.7.1.8 A); sono però riportati come complemento del titolo quando sono compresi in una formulazione discorsiva o comunque la loro omissione nuocerebbe alla chiarezza della descrizione (par. 4.1.2.1 B, punto d).

E’ chiaro quindi che, tranne in casi particolari, non si può inserire l’elenco delle opere nell’area 1. Si può fare la nota di contenuto, che però non è ricercabile in SbnWeb e quasi mai negli opac.

Questo per quanto riguarda la descrizione, che come si vede non offre molte possibilità per rendere possibile la ricerca.

La soluzione del problema viene dalla gestione dei legami, e in particolare di quelli tra una raccolta di opere preesistenti e le opere contenute, trattata nel paragrafo 12.4.1 delle Reicat (http://norme.iccu.sbn.it/index.php?title=Reicat/Parte_II/Capitolo_12/12.4/12.4.1), mentre nella bozza della nuova Guida manca ancora la parte sui legami.

Le singole opere contenute vengono segnalate tramite il loro titolo uniforme (natura A) che va legato al titolo M (quindi legame M9A) della raccolta (che se ha un titolo significativo avrà anche un suo specifico titolo uniforme).

In sintesi il criterio è questo: il t.u. per le opere contenute è obbligatorio solo nei casi espressamente citati nella norma, ma è sempre consentito, quindi la biblioteca può inserire tutti quelli che ritiene utili.

Il t.u. va formulato in lingua originale, ma la forma italiana si può registrare come variante del titolo, ossia come titolo D legato al titolo A.

Lo schema sarebbe quindi il seguente:

TITOLO M

Legato a TITOLO A

Legato a TITOLO D

Molti di questi titoli uniformi, anche se non tutti, sono già presenti, soprattutto se si tratta di opere pubblicate anche autonomamente. Non è detto però che ci sia sempre il titolo D collegato.

Ci sarebbe anche un’altra possibilità, cioè l’uso del titolo analitico (spoglio, natura N), anche se le Reicat hanno poca simpatia per questo tipo di titolo. In base ai criteri generali però lo spoglio andrebbe a sua volta legato al titolo uniforme, per cui si ha una complicazione in più. Questo tipo di trattamento è esplicitato nella Guida alla catalogazione della musica in SBN, che dice di usarlo se necessario per riportare informazioni descrittive importanti, cosa che però succede soprattutto per le registrazioni musicali e la musica in genere, più difficilmente per i testi. Vedremo che cosa dirà la Guida generale quando finalmente sarà stata completata.

Nell’insieme, la soluzione più “economica” è quella di legare il t.u. al titolo base della raccolta. Ancora più economico sarebbe creare solo lo spoglio senza t.u., che è molto semplice perché comprende solo l’area 1 e l’indicazione della paginazione (nel senso di pagine in cui è contenuta l’opera) da inserire in nota al legame, ma ciò sarebbe al di fuori delle indicazioni delle Reicat (http://norme.iccu.sbn.it/index.php?title=Reicat/Parte_II/Capitolo_9/9.0/9.0.3) anche se nella pratica spesso succede e in una biblioteca molto piccola e con poche risorse per catalogare secondo me sarebbe certamente tollerabile (anche su questo vedremo che cosa dirà la nuova Guida).

Infine, ci si può chiedere se sia il caso di fare anche la nota di contenuto oltre ai legami ai t.u. (ammesso di averne tempo e voglia). Le regole, per quello che ho trovato, non dicono niente, quindi la cosa è rimessa alla valutazione del catalogatore. La nota di contenuto ha una sua utilità non per la ricerca, ma per l’informazione immediata che dà a chi ha trovato i libro, senza obbligarlo ad esaminare i legami (peraltro se sia agevole o no esaminare i legami dipende soprattutto da come l’opac presenta i dati all’utente), però è anche abbastanza onerosa da compilare quindi la scelta di non farla sarebbe certamente comprensibile. A volte può essere utile anche solo una nota sintetica che dà informazioni sul contenuto ma non elenca i singoli titoli (ad esempio “Contiene 7 racconti pubblicati tra il 1978 e il 1985”).

Infilare ugualmente “a forza” in area 1 i titoli contenuti, presentandoli come complementi del titolo o con altri artifici per lo più ancora peggiori, invece è cosa da evitare, anche se materialmente possibile, perché fuori dalle regole e quindi non accettabile in un catalogo collettivo (è una di quelle soluzioni personalizzate che potevano andare quando le biblioteche avevano ciascuno il loro catalogo indipendente).

 

Titoli uniformi vietati?

Continuano ad esserci dubbi se in SBN siano ammissibili i titoli uniformi per le opere pubblicate in lingua originale.

Il dubbio non deriva dalle REICAT, ma dalla circolare ICCU del febbraio 2010 sull’applicazione delle Reicat in SBN.

Abbiamo già trattato il problema in questo articolo del 2012, che a mio parere continua ad essere perfettamente valido e che quindi consiglio di leggere: in sintesi, la circolare, per facilitare l’applicazione delle Reicat prevede non siano obbligatori i titoli uniformi per le opere in lingua originale, ma l’articolo argomenta che non obbligatorio non vuol dire vietato ma vuol dire facoltativo, e che inserire i titoli uniformi è non solo permesso ma anche consigliabile.

Qui aggiungo che il consiglio va visto nel nostro contesto: nel nostro polo non facciamo record di autorità, quindi il titolo uniforme verrà inserito se ciò è possibile con un sforzo ragionevole in rapporto ai mezzi e al tempo a disposizione.

Vent’anni del Catalogo delle Biblioteche Liguri – CBL

Forse non se ne ricorda più nessuno, ma qualche giorno fa il CBL – Catalogo delle Biblioteche Liguri ha compiuto vent’anni, essendo stato aperto il 24 febbraio 1998.

All’epoca raccoglieva tre biblioteche, tutte dotate di CDS/ISIS-Teca (Biblioteca Civica di Albenga, Sistema Bibliotecario Alta Val Bormida e Biblioteca del Servizio Programmi e Strutture culturali della Regione, oggi chiamata Biblioteca di Biblioteconomia della Regione Liguria) e circa 50.000 record.

Grazie alla Wayback Machine, il servizio di Internet Archive che archivia siti web, tra cui anche quello della Regione Liguria, possiamo vedere una delle prime versioni della pagina informativa sul CBL, aggiornata al 16 aprile 1998 e archiviata il 10 giugno dello stesso anno:

https://web.archive.org/web/19980610164734/http://www.regione.liguria.it:80/sesatc/270/cbl.htm

Possiamo vedere anche la home page di quella prima versione del CBL, archiviata il 2 dicembre 1998 (parzialmente funzionante):

https://web.archive.org/web/19981202202448/http://opac.regione.liguria.it:80/cgi-win/hiweb.exe/a3

La realizzazione del CBL era stata disposta con la Deliberazione della Giunta Regionale n. 411 del 17 febbraio 1995. Non essendo tra quelle già disponibili in versione elettronica, abbiamo pubblicato anche lei sull’Internet Archive, e si può consultare qui.

Ma probabilmente molti non sanno di chi è il merito della prima idea del CBL. Nell’autunno del 1994 stavamo studiando, anche tramite riunioni con le principali biblioteche liguri, quali soluzione adottare per sviluppare la cooperazione nell’ambito dei cataloghi informatizzati. All’epoca eravamo ancora molto diffidenti verso SBN, anche se poi l’atteggiamento cambiò poco dopo. In quel periodo lavorava da noi una bibliotecaria molto preparata che forse qualcuno ricorda, Graziella Giusto, che proveniva dalla Regione Lombardia e rimase da noi tra il 1993 e il 1996. Fu lei che un giorno disse: Perché non facciamo un opac?. L’idea in quel momento era particolarmente buona perché puntare su un catalogo derivato ci permetteva di dare un servizio effettivo in modo relativamente semplice (anche se poi ci furono difficoltà impreviste), e così ci orientammo subito in quel senso.

Fine della lezione di storia, naturalmente chi non l’avesse ancora fatto è invitato a visitare il CBL com’è oggi (versione in linea dal dicembre 2011).

Informazioni minime sui sistemi di collocazione

Siccome nei giorni scorsi mi hanno chiesto dei chiarimenti sulle collocazioni in Sbnweb, ho pensato di pubblicarli anche qui sul blog perché potrebbero essere utili a qualcuno, anche se sono solo pochi appunti senza pretese.

L’organizzazione delle collocazioni è un elemento spesso trascurato, col risultato che qualcuno riesce a complicarsi la vita in modo incredibile. Particolarmente nefasto è usare un sistema di collocazione che ne nasconde un altro, come succede quando si colloca per scaffale, palchetto e numero di catena, ma in realtà lo scaffale corrisponde anche ad una materia, per cui dopo un po’ non si capisce se deve prevalere il criterio posizionale o quello per materia.

Innanzitutto un po’ di terminologia.

Per sezione di collocazione si intende un insieme di documenti collocati insieme e con lo stesso criterio.

Per numero di catena si intende un numero progressivo (spesso assegnato automaticamente) che identifica la collocazione del singolo documento: talvolta può coincidere con la collocazione stessa, più spesso si aggiunge ad un altro elemento (per chi è particolarmente interessato osservo che il numero di catena è un tipo di book number, cioè di identificativo di un singolo documento nell’ambito della collocazione, argomento sul quale recentemente è uscito un interessante libro di Carlo Bianchini).

Quando si decide il tipo di collocazione, la prima cosa da stabilire è se si tratta di una collocazione a scaffale aperto, cioè col pubblico che accede direttamente agli scaffali, o a magazzino, nella quale solo gli operatori accedono agli scaffali per prendere i libri richiesti dagli utenti. Nel primo caso ci vuole un ordinamento logico facilmente comprensibile da tutti e non solo dai bibliotecari, nel secondo invece bisogna ottimizzare soprattutto l’uso dello spazio, la conservazione e la facilità di gestione, evitando schemi troppo complicati.

Sbnweb prevede che si indichi se la sezione di collocazione è a scaffale aperto o a magazzino, ma per quello che ne so non fa uso di questa informazione: tuttavia è opportuno inserirla in modo corretto, perché potrebbe venire usata in futuro oppure da altri programmi in cui siano stati caricati i dati.

E’ anche opportuno usare nomi brevi per le sezioni, perché il nome fa parte integrante della collocazione, ed è scomodo avere poi collocazioni lunghissime.

I tipi di collocazione previsti si vedono tutti nella gestione della sezione di collocazione, e sono elencati nella tabella codici  CTCO, visibile (non modificabile, perché è di polo) sotto Amministrazione -> Gestione codici e sono spiegati anche nella documentazione del programma. Il tipo Continuazione si usa solo in casi particolari, mentre quelli di uso generale sono:

  • Esplicita non strutturata: è completamente libera, quindi accetta qualunque collocazione ma non fa nessun controllo, per cui è più soggetta ad errori da parte degli operatori; è utile per schemi che non si adattano bene a nessun altro tipo (specialmente qui bisogna cercare di evitare le complicazioni eccessive); spesso è necessario usarla quando si devono registrare collocazioni preesistenti
  • Magazzino non a formato: è semplicemente un numero di catena assegnato automaticamente; può essere utile, ad esempio, per sezioni a magazzino di documenti che sono tutti dello stesso formato (come gli LP); potrebbe essere utile anche per le pubblicazioni elettroniche, anche se queste non hanno una collocazione in senso tradizionale, per evitare che queste appaiano tutte come documenti non collocati; in una biblioteca avevano stabilito che il numero di catena dovesse essere uguale all’inventario, ma io sconsiglierei di prevedere un vincolo di questo genere che è una complicazione inutile: infatti, siccome non è possibile fare in modo che il programma assegni automaticamente lo stesso numero, questo obbliga a collocare nello stesso ordine con cui si inventaria!
  • Sistema di classificazione: permette di recuperare la classe già assegnata in catalogazione semantica (se esiste); una volta recuperata, la classe si può poi modificare come si vuole (ad esempio, spesso si semplifica la Dewey); l’uso di questo tipo di collocazione ha senso soprattutto se in semantica viene usata una classificazione
  • Magazzino a formato: raggruppa i documenti per formato e numero di catena, quindi è utile soprattutto nei magazzini per sfruttare al meglio lo spazio; i codici di formato vengono definiti liberamente dalla biblioteca prima di creare la sezione, e possono essere usati per tutte le sezioni di questo tipo; usa sezione può anche usare solo una parte dei codici di formato; alcuni la usano anche in un altro modo: attribuiscono ai codici un significato diverso dal formato, in genere una materia o una tipologia di pubblicazioni, e in questo modo creano delle suddivisioni utili anche a scaffale aperto (ma col limite che all’interno del codice l’unico ordinamento possibile è quello per numero di catena)
  • Esplicita strutturata: prevede tre campi, e si adatta soprattutto ai vecchi magazzini con collocazioni già esistenti per scaffale-palchetto-numero di catena; tuttavia può andare bene per qualsiasi schema che non utilizzi più di tre campi
  • Chiave titolo: determina un ordinamento per titolo con una chiave calcolata automaticamente in base al titolo presente in descrizione; è pochissimo usata, ma può essere interessante per sezioni a scaffale aperto in cui il titolo è particolarmente significativo (forse i libretti d’opera potrebbero essere un esempio?)

A tutte le collocazioni si possono aggiungere la chiave autore o la chiave titolo inserite a mano o calcolate automaticamente, e/o una specificazione libera. Questi elementi possono essere più o meno utili a seconda dei casi: ad esempio nel magazzino non a formato, visto che l’elemento principale è un numero progressivo univoco, possono avere un ruolo informativo ma non modificano l’ordine della collocazione, invece nella collocazione per classe o nell’esplicita strutturata o non strutturata possono servire per l’ordinamento a parità di elemento principale.

Per le sezioni a magazzino di solito è consigliabile la collocazione per formato, che migliora sia l’uso dello spazio che la conservazione, evitando che si trovino vicini documenti di formato molto diverso.

E’ chiaro che non è obbligatorio creare un’unica sezione per ciascun tipo di materiale: ad esempio, i libri a scaffale aperto spesso sono collocati in parte con la Dewey e in parte con altri criteri, come la letteratura in base al nome dell’autore o le biografie in base al nome del biografato.

Si possono avere anche più sezioni con lo stesso tipo di collocazione, ad esempio i libri per adulti e quelli per bambini separati, ma collocati entrambi con la Dewey.

In particolare, è indispensabile creare sezioni distinte per gruppi di documenti fisicamente separati (quali la sede principale e un magazzino esterno) anche se collocati con lo stesso criterio, altrimenti poi nell’ordinamento topografico apparirebbero mescolati.

Punteggiatura nei titoli uniformi

Abbiamo osservato che in polo – su 139.017 titoli uniformi, cioè di natura A, di cui 20.751 creati in polo – ce ne sono 3.456 (di cui 801 creati in polo) che contengono la punteggiatura del complemento del titolo (‘ : ‘) e 1.632 (di cui 249 creati in polo) che contengono la punteggiatura della formulazione di responsabilità (‘ / ‘), secondo dati aggiornati al 1 marzo 2018.

Questo denota un uso non conforme alle REICAT, nelle quali:

  1. il complemento del titolo è previsto solo come elemento di disambiguazione e solo se accompagna il titolo nella maggior parte delle edizioni (paragrafo 9.2 e 9.3.2), quindi è di uso molto raro
  2. La punteggiatura ISBD per la formulazione di responsabilità non è mai prevista, perché una formulazione di responsabilità si include nel titolo uniforme solo quando ne è parte integrante (paragrafo 9.2.4) e quindi evidentemente non ha bisogno di alcuna punteggiatura convenzionale; è vero che gli esempi delle REICAT riportano la barra, ma è solo un espediente per indicare l’intestazione principale (non la formulazione di responsabilità), come spiegato nella nota 4 al paragrafo 9.0.6; le REICAT infatti, essendo neutre rispetto agli specifici sistemi di catalogazione, non usano il linguaggio di SBN relativo ai legami autore, anche se invece della barra avrebbero potuto usare qualche altra cosa che non rischiasse di creare confusione.

Naturalmente può esserci qualche caso in quella punteggiatura fa parte integrante del titolo perché così ha voluto l’autore e quindi va riportata, ma è evidente che si tratta di casi estremamente rari.

La bozza della nuova Guida SBN non include ancora i titoli uniformi, di conseguenza per ora si può fare riferimento solo alle REICAT.

La percentuale di titoli creati in polo con queste caratteristiche è superiore a quella generale di titoli A creati in polo, soprattutto per quelli col complemento, il che potrebbe essere un caso ma potrebbe anche indicare che da noi c’è ancora una certa “ingenuità” nella formulazione dei titoli uniformi.

Bisegnerebbe fare attenzione ad evitare questo uso improprio, anche perché applicare le regole è comodo, visto che comporta scrivere meno e non di più!

Secondo me il criterio molto restrittivo sul complemento del titolo ha lo scopo di molto ragionevole di evitare abusi, ma può essere discutibile perché ci sono casi in cui il complemento è voluto dall’autore e accompagna sempre il titolo fin dalla prima edizione (come nel caso dei Buddenbrook di Thomas Mann, come si vede sia dalla catalogazione che dalla riproduzione del frontespizio), però la regola è quella e non che il caso che ci mettiamo a riformarla noi.

Per i titoli catturati ovviamente non c’è alcun obbligo di correggerli, però visto che la correzione è semplice da individuare ed eseguire, chi avesse tempo e voglia di farla non fa sicuramente niente di male.